Stiamo vivendo un momento epocale, forte, intenso e spiazzante.
Come un vento forte e freddo che con pochi colpi ha cancellato quasi tutto e che ci lascia senza fiato.
Inoltre siamo sospesi, in un lungo tempo di attesa, che non possiamo controllare e che non ha un termine deciso.
E così ci ritroviamo a casa, impossibilitati ad uscire, lo spazio vitale racchiuso tra le pareti della nostra abitazione, lontani dalle persone che riempivano le nostre giornate.
Non voglio parlare di coronavirus, ma voglio parlare del nostro modo di vivere all’epoca di coronavirus.
Siamo stati travolti da qualcosa che non possiamo controllare e su cui non abbiamo molto potere.
Dobbiamo gestire molte emozioni, tante insieme e non ci sembra avere strumenti adeguati a disposizione.

Osserviamoci in questi giorni.

La paura, l’ansia, la ribellione ci hanno influenzato in molti modi e oltre agli obblighi a cui dobbiamo attendere, abbiamo modificato il nostro stile di vita, per cercare con l’istinto una nuova forma di equilibrio, una nuova espressione di pace.
Abbiamo visto svuotare i supermercati, anche se ci hanno sempre detto che non ci sono problemi di approvvigionamento.
Abbiamo iniziato a cucinare tantissimo, anche se siamo bloccati e ci muoviamo poco.
Abbiamo iniziato ad impastare, tanto che farina e lievito sono diventati prodotti rarissimi.
E’ stata una delle prime risposte istintive quella di rivolgerci al mondo del cibo, per trovare qualcosa.
Una risposta alla noia, una consolazione, un modo per riempire il vuoto, per canalizzare l’agitazione.
E non sempre lo abbiamo fatto con rispetto per noi.
Abbiamo reagito più d’istinto e di pancia, che di cuore e di testa.
Io stessa ho vissuto emozioni altalenanti, a volte indaffarata e in cerca di risposte, spesso coinvolta in una routine frenetica per riprodurre i vecchi ritmi di sempre.
Ma ho anche passato giornate basita e bloccata, senza sapere dove andare.

Come una falena impazzita quando trova una luce nel buio.

Nella mia ricerca mi sono imbattuta in due parole, tra loro collegate e vicine, ma che ci possono mostrare strade estremamente diverse.

RESISTENZA E RESILIENZA.

La prima parla di un fermare qualcosa, respingendolo, allontanandolo con forza.
La seconda narra di un’attitudine, quella di essere capaci di assorbire un urto, un botto, una violenza senza rompersi. Ma adattandosi e sistemandoci.
La prima parla di rigidità, la seconda di elasticità.
Non possiamo cambiare quello che ci sta succedendo, abbiamo una libertà di azione davvero limitata.
Ma possiamo scegliere come affrontare quello che ci sta succedendo.
Posso decidere come abitare il mio spazio.
Dobbiamo ritrovare un nuovo equilibrio, non vale la pena essere sospesi per tanti giorni.
Visualizzo la scelta della sospensione come un atleta che improvvisamente smette di muoversi e inesorabilmente perde forza, vigore, energia e struttura.
Perde quello che è.

Possiamo decidere di rimanere atleti e di trovare nuove forme di allenamento.

Possiamo ricercare in questo nuovo spazio una forma di armonia e di equilibrio, dove le tante variabili devono fare conto anche con un’ingente quantità di emozioni logoranti.
Il nostro potere è questa scelta. E si raffigura come la nuova forma di cura di sè.
Cerchiamo di rimanere presenti a noi stessi, cerchiamo di osservare quello che viviamo e sentiamo e di conoscerlo, di parlarci.
Dialoghiamo con quello che appare un mostro. Forse sarà solo da riordinare, pulire e accogliere.
E ora torniamo in cucina.Mentre prepariamo la spianatoia di legno, pesiamo la farina, sciogliamo con lentezza quel lievito tanto prezioso, soffermiamoci un attimo e poniamoci una domanda.

Cosa sto nutrendo?

Cosa voglio saziare, quale necessità sto affrontando?
Difficile che sia fame vera, fisica e viva. Facile che sia la fame di uno stato emotivo, di un bisogno della mente di soffocare stress, rabbia, paura, solitudine.
Ma ecco che proprio il farci la domanda può cambiare la rotta.
Non mangio di più per stordire il terrore, mangio meglio per coltivare la mia audacia.
Non mangio male e troppo per confondere la mia preoccupazione, ma scelgo cibi che mi facciano sentire lucido e brillante.
Non eccedo in cibo spazzatura perchè devo riempire il vuoto della solitudine, ma mi prendo cura di me, per lasciare fluire l’amore e il riguardo che mi merito.
Sono tante e piccole le meravigliose strategie in cucina che possiamo mettere in atto per metterci al centro e tutelare il nostro benessere, per coltivare la nostra salute.
Il potere di quella domanda è data dal fatto che è un detonatore di azioni, di scelte, di decisioni.
Se vuoi una mano per capire come organizzarsi in questi giorni, io sono qui. O se semplicemente vuoi parlare di questi giorni, io sono qui.
Insieme possiamo creare un percorso individuale, basato sulle tue esigenze e sui tuoi bisogni.
Possiamo dare valore alle tue risorse e trovare la tua via per imparare a mangiare bene.
A prenderti cura di te.